Star Trash

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C’era una volta uno show episodico chiamato Star Trek.

Sin dalla sua creazione, lo show ha mantenuto una serie di idee più o meno rigide come linee guida a cui rifarsi, per veicolare una serie di messaggi al pubblico, e soprattutto per creare intrattenimento di qualità.

La formula dello show era semplice, ma efficace, e il successo che ne è derivato è prova della validità della formula stessa.

Dopo 5 serie ambientate nel medesimo universo, vari film, una serie animata e tutti i conseguenti accessori del caso (dai giocattoli ai fumetti) lo show ha accumulato una delle comunità di fan più leali mai viste.

Pochi altri show possono vantare degli spettatori così cooperativi, attenti ai dettagli e appunto leali come Star Trek.

Nell’ormai lontano 2005 però Star Trek concluse la sua ultima serie, Star Trek Enterprise, dopo sole quattro stagioni contro le solite sette, e molti fan credettero che quella fosse essenzialmente la fine del franchise, vista anche la reazione non proprio positiva del pubblico alla qualità della serie.

Dopo dodici anni però, nel 2017, una nuova serie ha fatto il suo debutto, Star Trek Discovery.

Questa serie di Star Trek aveva delle grandi aspettative da soddisfare.

Anzitutto si supponeva rimediasse ai “danni” fatti da Enterprise, e soprattutto che portasse avanti il franchise, esplorando il futuro dell’universo di Star Trek successivo al film Star Trek Nemesis.

E invece…

Gli errori concettuali

Anzitutto la serie è un prequel, ambientata in una linea temporale dieci anni precedente alla serie originale, e già questo è un errore.

Di prequel, o sequel, il pubblico ne ha già ampiamente abbastanza, specie se innestati a forza su franchise già sviluppati e che stanno benissimo anche senza.

Ma va bene, non è detto che un prequel sia per forza scarso rispetto all’originale, anche se nel 90% dei casi è così, concediamogli quindi il beneficio del dubbio.

E qui entra in gioco un’altro problema.

Star Trek Discovery è fondamentalmente diversa da tutte le altre serie che l’hanno preceduta.

Intendiamoci, ciò non è un male di per se, ma si può cambiare una serie fino a un certo punto senza stravolgerla, dopo diventa qualcos’altro.

Discovery fa esattamente il contrario, demolendo dei principi cardine della visione originaria di Star Trek sin dai primissimi episodi.

Gene Roddenberry, creatore di Star Trek, aveva codificato l’idea che il futuro dell’umanità fosse positivo, utopico, e che la gran maggioranza dei problemi che affliggono la razza umana oggi, spariranno nel futuro, grazie all’ingegno umano e alla tecnologia, e questo si vede chiaramente in tutte le serie sino a Enterprise.

Star Trek Discovery, di questa linea guida, se ne frega ampiamente.

Il tono degli episodi va dal deprimente al violento, e i personaggi agiscono in modi che mai prima d’ora si erano visti nelle serie precedenti.

Fra ammutinamenti, omicidi e vere e proprie stragi, i personaggi di questa serie sono dei mostri, a prescindere dalla specie e dalla fazione a cui appartengono.

Ma va bene, supponiamo che anche questo sia solo un’altro modo di intendere un franchise come Star Trek, d’altronde è naturale che una proprietà intellettuale dell’età di Star Trek cambi nel tempo.

Tuttavia…

Gli errori di design

Discovery ha una serie abbastanza grave di errori di design.

No, non parlo dei massi in polistirolo della serie del 1966, o delle protesi finte e malmesse dei primi episodi di The Next Generation, e neanche della computer-grafica orrenda che piagava Enterprise.

Si tratta di errori come l’aspetto dei Klingon.

Nella serie del 1966, dove debuttano i Klingon, questa razza ha un’aspetto essenzialmente umano, come ci si aspetta in una serie con un budget limitato.

Negli anni ’90, l’aspetto dei Klingon è cambiato, grazie all’aumento del budget, ed è rimasto consistente per 4 serie.

Il cambiamento fra la serie del 1966 e le altre c’è, e si nota, ma rimane in un ambito accettabile, concordante con un’aspetto umanoide, tant’è che la serie Enterprise riuscì a spiegare il cambiamento fra un’estetica e l’altra con una sola puntata, anzi, praticamente una sola animazione al computer.

Meno accettabile è passare da questo:

a questo:

Se nessuno mi avesse informato prima, non avrei mai immaginato che quei due tizi appartenessero alla stessa specie, e quel che è peggio è che Discovery si dovrebbe raccordare alla serie originale del 1966, dove i Klingon non erano altro che umani coi baffi alla Fu Manchu, gli occhi a mandorla e le sopracciglia folte, così:

Ma no! E’ naturale che il look evolva nel tempo, sei solo infastidito dal fatto che non somiglino ai klingon a cui sei abituato.

Anonimo fan di Discovery

E va bene, passiamo sopra anche a questa.

I problemi di design però non finiscono qui.

Discovery soffre della Sindrome di Michael Bay.

Lens flare ovunque, luci cupe e deprimenti (manco stessero in convento), inquadrature sbilenche e che tremano costantemente.

Sembra Blair Witch Project, da tanto si muove la telecamera.

Ma almeno i personaggi e le storie saranno belle, giusto?

E’ sempre Star Trek, quindi è lecito aspettarsi delle trame interessanti, con dei bei quesiti filosofici su cui lo spettatore può riflettere.

Eh…

L’arroganza della regia

Star Trek Discovery, purtroppo, è una serie politicamente schierata.

Pesantemente, e senza la benchè minima sfumatura.

Anzitutto è una serie femminista.

Nulla di male, se non fosse che è femminista nel senso contemporaneo, non nel senso più nobile del termine.

In Discovery, i maschi umani sono o completamente stupidi, o dei poveri vigliacchi incapaci.

E questo se va bene.

Se va male, sono dei pazzi genocidi amorali.

Il femminismo contemporaneo, che Discovery recepisce perfettamente, non si interessa minimamente dell’uguaglianza fra i sessi, al contrario, si predica la supremazia femminile.

Discovery poi ha il vizio di forzare il pubblico su una e una sola visione.

Addio agli episodi complessi e sfaccettati di The Next Generation, o alle decisioni morali che il capitano Janeway affrontava in situazioni difficili nella serie Voyager.

Non sia mai che lo spettatore debba PENSARE! Orrore!

Prima era concesso, e anche incoraggiato, essere in disaccordo con le opinioni espresse nella serie, ogni episodio in cui c’era un dilemma morale o filosofico si esponevano una moltitudine di opinioni, e si dava anche ascolto ad esse, con la trama che magari procedeva dando ragione a uno o entrambi.

Ora, con Discovery, o si costringe il pubblico ad essere d’accordo con le scempiaggini che l’equipaggio compie ogni 5 minuti, o si è velatamente tacciati di essere dei retrogradi ottusi dallo sviluppo della trama.

La moralità dei fumetti di Topolino, o bianco o nero.

A questa politica del far subire allo spettatore le conclusioni che i registi hanno deciso essere quelle corrette, a dispetto di ogni logica, si accostano dei dettagli alquanto fastidiosi.

Ad esempio, c’è nell’equipaggio una donna umana che si chiama Michael.

Motivo? Nessuno.

Si chiama Michael solo per dare fastidio allo spettatore, e scimmiottare male l’idea di inclusività che la serie del 1966 pionieristicamente adottò al suo debutto, in un’era difficile, all’apice delle lotte per i diritti civili negli Stati Uniti.

Ora apparentemente la “lotta” sta nel chiamare le donne con nomi inappropriati.

L’implausibilità

A tutto c’è un limite.

Si può chiedere a uno spettatore di accettare che, nel futuro, l’umanità riesca a viaggiare più veloce della luce.

Si può anche chiedere allo spettatore di credere che gli alieni che incontreremo siano quasi sempre umanoidi, e con delle caratteristiche culturali associabili alle nostre, quando invece è più probabile che si tratti di autentici mostri, per noi incomprensibili sotto ogni punto di vista, a partire dalla biologia.

Mi sta bene, da spettatore capisco le necessità della trama e, per il gusto dell’intrattenimento, sospendo l’incredulità.

Il limite però non mi permette di andare avanti quando mi si chiede di credere che una nave spaziale viaggi col cosiddetto spore-drive, usando cioè dei FUNGHI.

Non contenti, su Discovery descrivono anche dei dettagli di questo presunto sistema di propulsione, inventandosi assurdità come il fatto che quando una nave impiega lo spore-drive, suddetta nave passerebbe dallo spazio normale a un ridicolo “mycelial plane”, letteralmente il “piano miceliale”…

Non ho parole.

Dove prima c’era almeno la decenza di dare una patina di plausibilità alla finzione, ora c’è l’approccio “ma chissenefrega”.

Ma, c’è sempre speranza, una sorta di luce in fondo al tunnel…

Patrick Stewart, nel 2019, ritornerà a interpretare il leggendario capitano Picard.

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