Talvolta, specie in certi ambienti politici, c’è la convinzione che la resistenza tedesca, apparentemente a differenza di quella italiana, sia stata una resistenza marginale, senza grande seguito popolare e senza importanza.
In genere questo pregiudizio fa il paio con quello che vede noi italiani come “brava gente”, incapaci di compiere le brutalità che hanno macchiato la reputazione di altri popoli.
Come al solito, questa è una visione parecchio superficiale e, volendo, anche abbastanza ipocrita.
Vediamo perché.
La situazione politica
In Germania, dal ’33 al ’45, Hitler e il suo NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) dominavano la scena politica e sociale, come è ovvio per un regime totalitario come quello nazista.

Hitler era il capo indiscusso e assoluto dello Stato, con potere assoluto su ogni aspetto della vita dei suoi cittadini (o sudditi, vista la situazione).
Il NSDAP, e il braccio propagandistico in particolare, fecero ogni cosa in loro potere per indottrinare e di fatto fare il lavaggio del cervello a tutti i cittadini del Reich, sin dalla tenera infanzia, per farli essere dei bravi nazisti e per far loro identificare lo Stato col suo capo, Hitler.
Questa situazione politica era, a quell’epoca, simile a quella italiana.
Simile, non uguale.
In Italia infatti, dal 1925 (con le leggi dette fascistissime) il PNF, Partito Nazionale Fascista, svuotò di ogni potere il Parlamento, di fatto accentrando su di se i poteri del Governo e del Parlamento, generando quindi una dittatura.
C’era un’altra figura però in Italia, il Re, che all’epoca aveva funzioni di Capo dello Stato.
E non era una funzione meramente cerimoniale, come è oggi quella della corte britannica, ma si trattava di un ruolo importante visto che il Re era il comandante supremo delle Forze Armate e aveva il potere di licenziare il primo ministro (cosa che poi peraltro avvenne nel ’43).
Vediamo quindi una sorta di dualità Re-Mussolini, antagonisti e complici nella gestione dello Stato, che ebbero fra loro anche gravi momenti di frizione, come ad esempio accadde quando fu fondata, da Mussolini, la MIlizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) nel 1925.
La MVSN infatti era niente più che il braccio armato del PNF, e rispondeva solo a Mussolini, con tanto di giuramento adeguato.
Questo ovviamente era in totale contrasto col fatto che il Re fosse il capo dell Forze Armate, e col tempo la questione venne rettificata mischiando la Milizia col Regio Esercito, di fatto relegandola a corpo simbolico.
Questa dualità e anche ambiguità su chi detenesse veramente il potere in Italia fu causa anche di incidenti con Hitler, che mal sopportava la corte italiana.
Viste queste premesse quindi, è ovvio che la resistenza italiana abbia avuto maggior consistenza di quella tedesca, dal punto di vista numerico almeno, visto che i tedeschi non avevano alcun referente non nazista con cui dialogare.
Come si fa ad architettare una resistenza a un regime se, all’interno dello Stato, non hai praticamente nessuna forza seria a cui rivolgerti?
E’ certamente molto più difficile rispetto a uno stato come l’Italia, in cui c’erano e ci sono sempre stati una moltitudine di attori sula scena politica, basti pensare anche al ruolo della Chiesa in quelle circostanze.
Resistenza e Resistenze
Ciononostante, anche in quella situazione di oggettiva estrema difficoltà, in Germania vi fu non uno, ma parecchi movimenti di resistenza.
In particolare, forse il più coraggioso, fù la Rosa Bianca.

Si trattava infatti di un gruppo di studenti cristiani, i quali intendevano condannare i genocidi che il Reich stava compiendo in Unione Sovietica, il massacro indiscriminato degli ebrei e la barbarie della guerra che Hitler aveva scatenato contro quelli che lui definiva “subumani”.
Non solo, queste persone coraggiose vollero anche informare il popolo tedesco del fatto che la guerra stava andando male per la Germania, a partire dalla sonora sconfitta a Stalingrado.
Purtroppo, sia il loro metodo non violento che il loro messaggio gli costò caro.

Un bidello simpatizzante dei nazisti infatti li denunciò e i membri della Rosa Bianca finirono di fronte al Tribunale del Popolo, presieduto dal giudice Roland Freisler, famigerato per la sua furia e per il suo assoluto disprezzo della giustizia nel caso quest’ultima non si confacesse agli “ideali” nazisti.
La sentenza recitava:
Gli accusati hanno, in tempo di guerra e per mezzo di volantini, incitato al sabotaggio dello sforzo bellico e degli armamenti, e al rovesciamento dello stile di vita nazionalsocialista del nostro popolo, hanno propagandato idee disfattiste e hanno diffamato il Führer in modo assai volgare, prestando così aiuto al nemico del Reich e indebolendo la sicurezza armata della nazione. Per questi motivi essi devono essere puniti con la morte.
E venne eseguita il giorno stesso, dopo un dibattimento farsa, tipico di Freisler, in cui quest’ultimo tentò come suo solito di umiliare gli imputati, cercando in ogni modo di strappare loro la grande dignità e coraggio che avevano mostrato durante le cinque ore di dibattimento.
Della dignità dei condannati, i secondini del carcere ebbero a dire:
Si sono comportati con coraggio fantastico. Tutto il carcere ne fu impressionato. Perciò ci siamo accollati il rischio di riunire i tre condannati un momento prima dell’esecuzione capitale. Volevamo che potessero fumare ancora una sigaretta assieme. Non sapevo che potesse essere così facile morire, disse Christoph. E poi: Fra pochi minuti ci rivedremo nell’eternità. Poi vennero condotti al supplizio. La prima fu la ragazza. Andò senza battere ciglio. Noi tutti non riuscivamo a credere che ciò fosse possibile. Il boia disse di non aver mai veduto nessuno morire così.
La Rosa Bianca è un perfetto esempio di come la retorica nazionalista (purtroppo italiana in questo caso), sia molto spesso poco più di una scusa per cercare di rifarsi una verginità quando, inevitabilmente, un passato di cui non esser fieri torna a bussare sulle nostre coscienze.
Non ha mai senso generalizzare e parlare di popoli di milioni di persone come se si trattasse di entità monolitiche.
Mai.